Anche se il "permesso di seppellimento" sia stato abrogato, vi è chi ancora riesce ad essere creativo

Anche se il “permesso di seppellimento” sia stato abrogato, vi è chi ancora riesce ad essere creativo

Un tempo, ormai molto tempo addietro, l’art. 141 Ord. St. Civ. regolava l’istituto del c.d. “permesso di seppellimento” (anche se, a stretto rigore, già allora di usava il termine “autorizzazione”, anche al successivo art. 142, così come di “autorizzazione” parlava l’art. 385 C.C. 1865 e l’Ord. St. Civ., R.D. 15/11/1865, n. 2602 ).
Comunque sia venuta a formarsi la prassi di denominare una tale autorizzazione, utilizzando il termine, improprio” di “permesso di seppellimento”, questa aveva una caratterizzazione, ora superata, consistente nel fatto che essa era indistinta. Nel senso di costituire un’autorizzazione, per così dire, astratta, nel senso di non considerare proprio la pratica funeraria caso per caso richiesta (promiscuità derivante, all’origine, dal fatto che non vi erano grandi scelte, essendo la pratica dell’inumazione quella ordinaria e normale (come, almeno sulla carta e giuridicamente sussiste tuttora), mentre la tumulazione era (come tuttora è, almeno giuridicamente) meramente ammessa e cui si ricorreva in un numero di casi (originariamente) ridotto.
A maggior ragione per la cremazione che presentata, nel sec. XIX accessi del tutto ridotti (neppure Garibaldi, che pure l’aveva indicata in sede testamentaria, ha potuto avvalersene). Come largamente noto, progressivamente il ricorso alla tumulazione è cresciuto, al punto da avere sopravanzato (quantitativamente) l’inumazione, altrettanto è progressivamente cresciuto il ricorso alla cremazione, tanto che solo con il RSC si è pervenuta ad una distinzione tra le pratiche funerarie richieste, cosicché l’art. 74 RSC, considera – distintamente – il ricorso all’inumazione, oppure alla tumulazione (commi 1 e 2) e, con maggiore differenziazione, la cremazione (comma 3), per cui si può concludere che vi siano, al 30/3/2001, 2 distinte autorizzazioni: (a) autorizzazione all’inumazione, (b) autorizzazione alla tumulazione, (c) autorizzazione alla cremazione. E, per questo, si può affermare che il “permesso di seppellimento” sia stato … abrogato, non solo per l’improprietà del linguaggio, ma – soprattutto – per il motivo (sostanziale) che è venuta meno la precedente indistinzione (rispetto alle pratiche funerarie).
Per altro, quanto meno per le prime 2 (inumazione, tumulazione), fermo restando che la loro natura è del tutto distinta, possono non aversi particolari problemi nella forma redazionale, ben potendosi ricorrere ad un unico formulario, distinguendo tra l’una e l’altra attraverso una notazione di tipo frazionario o prevedendo caselline da biffare a seconda che sia richiesta l’una o l’altra.
Oltretutto, la prima (forma frazionaria) appare più rispondente a principi di snellimento, economicità, efficienza, ecc. nell’attività amministrativa dato che permette di sottrarsi ad un’indicazione esplicita. In un comune, più o meno recentemente, per motivi “informatici”, sono state apportate modifiche ai supporti in precedenza utilizzati a questo fine, prevedendo che l’indicazione del luogo di morte fosse solo quella del comune e non del luogo, al suo interno, in cui il decesso sia avvenuto.
Trascurando come un software non dovrebbe presentare problemi di particolare onerosità per utilizzare anche questo dato (l’indirizzo del luogo dio decesso), quanto meno considerando come, tendenzialmente, si tratti di dati (stringhe di testo) mutuabili dalle registrazioni proprie dell’atto di morte da iscrivere nei relativi registro di stato civile, non si può non considerare come, ai fini delle funzionalità cui rispondono le autorizzazioni considerate dall’art. 74 RSC, sia una questione del tutto priva di rilievo, secondaria e di ben poco spessore.
Infatti, in queste autorizzazioni può riconoscersi come rilevanti altri set di dati, cioè le generalità della persona (nome e cognome, luogo e data di nascita, estremi del relativo atto (art. 1 dPR 3/5/1957, n. 432)), la residenza e la cittadinanza (art. 11, 1 RSC), e, ovviamente, il luogo e la data di morte ed estremi del relativo atto (Trascuriamo i casi in cui tali autorizzazioni non siano collegate ad un atto di morte, come nelle ipotesi dell’art. 5 dPR 10/9/1990, n. 285 o dell’art. 78 RSC o collegate ad atti di stato civile diversi da quello di morte, come è nel caso dell’art. 37, 2 RSC, situazioni specifiche che, frequenza a parte, poco mutano sotto questo profilo). Oltretutto, sempre nella medesima situazione, sarebbe stato ipotizzato di numerare tali autorizzazioni con una numerazione annuale, unica, a prescindere dl dal fatto che l’atto di morte sia stato formato in una parte o in altra parte e serie, aspetto anche questo del tutto secondario (forse, qui o là (dipende dalla regione) qualche differenziazione dovrebbe aversi per le autorizzazioni alla cremazione), nel senso che andrebbe sollevata la questione se le 3, distinte, autorizzazioni considerate dall’art. 74 RSC richiedano, alla fin fine, una qualche numerazione distintiva.
Frequentemente, si hanno condizionamenti di prassi, di origine consuetudinaria, rispetto a cui magari si vogliono introdurre “semplificazioni”, anche operative, le quali, per altro, richiederebbero una preliminare analisi di cosa debba (per legge/regolamento) essere necessario e di cioè che, in realtà, abbia mere origini consuetudinarie. Cosa che richiede approfondimenti, da cui spesso si tende a rifuggire.

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