“Tirature della giacca”, norme (incognite), prassi: quando il cambiamento di una prassi produce reazioni.

“Tirature della giacca”, norme (incognite), prassi: quando il cambiamento di una prassi produce reazioni.

A chi pratichi l’uso del “tirare per la giacca” può accadere di non essere particolarmente raffinati, sotto il profilo normativo.
Il ché maggiormente può verificarsi quando tali soggetti neppure sappiano di che stiano parlando, in quanto più abituati a fare “come si è sempre fatto” che non conoscere le disposizioni. Si sono ambiti, in cui “si inciampa” frequentemente nella constatazione che operatori non sappiano quelli che sono, o dovrebbero essere, i “ferri del mestiere” propri della loro attività.
In genere, quando ci si rivolge ad un elettricista si da per scontato che conosca, tra le altre, la c.d. “legge di Ohm”, oppure se ci si rivolga ad un idraulico che sappia filettare un tubo di una condotta idrica (possibilmente, disponendo sia delle conoscenze tecniche, sia delle attrezzature necessarie per lo svolgimento della propria attività). Non sempre è così.
Ad esempio, la regione Piemonte ha svolto una consultazione on-line su di una P.d.L. in materia funeraria, nel corso della quale una struttura sedicente rappresentativa della categoria degli operatori funebri ha proposto che il trasporto del defunto al deposito di osservazione (per effettuarvi l’osservazione appunto), debba effettuarsi con “cofano sigillato” (sic!).
Non interessa, ora, sottolineare come l’art. 17 dPR 10/9/1990, n. 285 preveda qualche cosa, ma il solo buon senso sarebbe sufficiente a considerare che, non essendovi ancora stato il completamento del periodo di osservazione è, quanto meno, improponibile ricorrere a modalità che ostacolano eventuali manifestazioni di vita (e se il defunto, muta idea e “resuscita”?).
Altrove, è ri-emersa la questione (superata da oltre un lustro) sull’assoggettamento o meno degli avvisi funebri all’imposta di pubblicità e/o al diritto sulle pubbliche affissioni (imposta e diritto hanno regolazioni ben diverse, pur se presenti nella medesima fonte normativa), dove il solo argomento addotto da qualche operatore interpellato è stato quello secondo cui nel comune vicino vi sia un comportamento diverso, senza non solo discernere tra imposta e diritto, ma neppure ponendosi la questione di capire quale ne possa essere la motivazione.
Altrove, ancora, un comune (che si cita per la peculiarità della situazione che lo interessa, cioè L’Aquila, anche in relazione al terremoto di ormai 2 anni addietro) ha dato indicazioni secondo cui nei campi ad inumazione potessero essere utilizzati unicamente cippi, escludendo l’impiego di lapidi copri-fossa. Anche se queste ultime sono largamente diffuse, andando alle fonti normative si rileva come la loro ammissibilità, o legittimità, è (o, sarebbe, tenendo presenti le norme) riguarderebbe solo le “aree concesse per sepolture private” (e in tal caso subordinatamente alle “speciali norme e condizioni da stabilirsi nel regolamento comunale” (art. 62 dPR 10/9/1990, n. 285), mentre le inumazioni sono contraddistinte da un cippo (art. 70 dPR 10/9/1990, n. 285).
Il fatto che, eventualmente, nel passato questo o quel comune avesse tollerato l’apposizione di lapidi copri-fossa, non può essere considerata modifica alle norme e, conseguentemente, non dovrebbe stupire quando, anche se sulla base di considerazioni differenti, magari contingenti, vi sia un qualche “ritorno” a quanto prevedono le norme in materia.
Tuttavia, il punto non è tanto quello dell’applicazione delle norme in quanto tale (che sarebbe pur sempre buona cosa), ma il fatto che queste neppure siano conosciute, specie se da quanti pretendano di modificare la normativa.
O, anche senza volerla modificare, non sembrerebbe che chi, professionalmente (almeno così sosterrebbero) svolge una data attività, non possa non conoscere le norme, che, in certi contesti, sono “ferri del mestiere” di quell’attività.

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